TUMORE COLORETTALE, L'ARMA SICURA E' LO SCREENING, MA IN SICILIA NON DECOLLA
Nel 2022, il rapporto Aiom ha censito più di 48mila nuovi casi di tumori colorettali in Italia, soprattutto tra gli under 50, il cui tasso di mortalità è previsto in aumento fino al 2030.
In questo scenario, gli screening oncologici, che rappresentano la strategia più forte di diagnosi precoce dei tumori, in Sicilia non decollano, e la variabilità di prevenzione tra Nord a Sud resta forte: nelle regioni meridionali si sottopone allo screening appena il 20-30% della popolazione, in Sicilia, dove ogni anno muoiono di tumore al colon-retto circa 1600, lo screening non arriva a coprire il 20%.
"Serve una vera alleanza tra medicina territoriale e ospedaliera, più integrazione con gli endoscopisti e più informazione. Lo screening è l'unica arma certa che abbiamo, eppure arranca nonostante sia stato ampiamente dimostrato che grazie alla diagnosi precoce e alle nuove terapie chirurgiche e mediche l’incidenza di mortalità è diminuita in entrambi i sessi". Lo ha detto il presidente dell'Omceo di Palermo Toti Amato, componente del direttivo Fnomceo, in occasione del convegno “Update Screening Carcinoma colorettale in Sicilia-Dalle ombre all’esigenza di un Network regionale integrato", che si è svolto a Villa Magnisi il 27 gennaio scorso con l'obiettivo di individuare le criticità e trovare soluzioni alla bassa incidenza degli screening.
"Screening vuol dire salvezza" è stato il messaggio forte e chiaro del segretario regionale Fimmg, Luigi Galvano: "Ci sono sacche di popolazione da recuperare, in particolare chi vive nelle zone più periferiche, ma per avere successo la gente ha bisogno anche della percezione di una sanità funzionante a 360 gradi. Il vuoto informativo potrebbe essere risolto lavorando sulla transizione digitale e la comunicazione, attraverso il medico di famiglia, che arriva in tutte le famiglie, e coinvolgendo le associazioni di volontariato e tutte le organizzazioni del terzo settore socialmente attive".
"Un network e la raccolta dati - ha proseguito Galvano - ci farebbe concentrare sui posti dove le percentuali di screening sono più basse. E un programma di comunicazione multimediale, che preveda anche i social e tutti gli altri strumenti che le persone utilizzano giornalmente, ci permetterebbe di essere più capillari nell'informazione".
Al disallineamento dell'informazione sul territorio si aggiunge una cultura della prevenzione carente e una disomogeneità tecnologica. Secondo Mario Valenza, responsabile del centro gestionale screening dell’Asp di Palermo, infatti, "gli screening non entrano ancora nella mente delle persone come azione pubblica di sanità".
Infine, c'è anche una distribuzione disomogenea di macchinari d'avanguardia sottolineata dal primario di Gastroenterologia del Civico Roberto Di Mitri, che ha evidenziato la necessità di allargare l’offerta endoscopica perché "non tutti hanno macchinari di ultima generazione e di realizzare un piattaforma ad hoc tra le unità operative regionali per la condivisione dei dati". Richiesta condivisa dai vertici dell'assessorato regionale della Salute siciliana, Salvatore Iacolino (alla guida della Pianificazione strategica) e Salvatore Requirez (dirigente generale del Dasoe).
"Fondamentale la presenza degli endoscopisti nella rete regionale di screening anche se il grande problema resta convincere le persone a sottoporsi ad un esame sgradevole" ha spiegato Requirez. Secondo il dirigente bisogna educare alla consapevolezza che grazie agli strumenti diagnostici si possono evitare conseguenze fatali.
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